Riflettere su Craxi

23 01 2010

Ci si espone molto alla critica quando si obietta al tiro dei sassi contro “il male incarnato”, soprattutto se ci si riconosce nel campo non-berlusconizzato. Su Craxi ho sempre pensato si dovesse riflettere in modo profondo visto quanto ha inciso l’uomo nella vita e nella politica italiana.

Per quanto mi riguarda non intendo negare responsabilità penali sue o del suo partito. A proposito dei suoi processi e di quelli di tangentopoli si può rilevare al massimo una procedura quantomai discutibile e distante dallo stato di diritto (manetta facile, suicidi misteriosi in carcere, domande ‘suggestive’ in tribunale, ammissioni di prove “allegre”). Tutte cose che oggi in Italia (grazie alle norme sul giusto processo del 2000) o, anche ieri, in qualsiasi paese occidentale e con processo ad impianto accusatorio e non inquisitorio, non sarebbero successe. Il merito diventa metodo, soprattutto se si parla di responsabilità giuridiche.

Ma credo sia utile andare oltre. Via Craxi. Un’esclamazione di molti, una scelta inopportuna per una istituzione pubblica, una strumentalizzazione da parte dei berlusconiani che intendono con la sacralizzazione dell’uomo e la sua martirizzazione accostarlo a Berlusconi: “vedete?” fanno intendere “Silvio come Bettino sono dei perseguitati politici! Ma Silvio, come Bettino, avrà il suo posto nella storia”. Posto che è probabile che questo accadrà, mi sembra una scelta decisamente prematura e affrettata. E l’accostamento sinceramente azzardato.

Liberato il campo da responsabilità penali (che rimangono ferme e incontestate) e da Vie o commemorazioni varie, sarebbe il caso di fermarsi un secondo a riflettere sul PSI e sugli anni 80. Il punto centrale, che penso sia l’unico davvero interessante, è che l’uomo portò una scintilla in una sinistra vicina allo sfacelo politico e culturale. (continua)

La novità di Craxi non fu il sistema di tangenti ai partiti. Quello era un sistema diffuso prima di lui e non solo nel PSI (consiglio l’ascolto integrale della deposizione di Craxi al processo Cusani, l’interrogatorio è condotto da Di Pietro e la lettura dei verbali dei processi). – inciso: ribadisco un punto. Il fatto che lo facessero tutti non giustifica la responsabilità penale. Però evidenzia il fatto che in questo Craxi non fu affatto “il capo dei ladri” o “l’uomo che ha inquinato il sistema”. – La vera novità era che il PSI di Craxi, ebbe una linea politica estremamente chiara, forte e convincente (e, alle volte, pure piuttosto arrogante). Il primo Craxi tentò di costruire col PCI una alleanza di centrosinistra (senza trattino!), ma non vi riuscì: le resistenze nel PCI ad abbandonare non tanto i legami, quanto la mentalità dell’Unione Sovietica, erano troppe. E così decise di proseguire il tentativo di modernizzazione politica con un compromesso con la DC in attesa che il PCI stesso si sgretolasse sotto il peso delle sue contraddizioni e della sua arretratezza politica (cosa che, nel giro di pochi anni, sarebbe avvenuta, a bocce ferme).

Nel merito la politica di Craxi fu innovativa su tutti i fronti. Dalle battaglie laiche sull’aborto a fianco dei radicali, passando per il rinnovo del concordato (firmato da un governo a maggioranza democristiana, è bene ricordarlo). Poi, la politica estera della schiena dritta, con un atlantismo autonomista che portò a mettere il paese in campo quando si trattò di decidere chi dovesse difendere l’Europa dalla minaccia russa, ma che schierò il governo in difesa della dignità dell’ordinamento italiano nei confronti di un alleato americano con tendenze arroganti e imperiali. Nessuno a parte Craxi (men che meno il compagno D’Alema), ebbe il coraggio di dire no agli americani (un no credibile e rafforzato dalle baionette dei carabinieri puntate sulla delta force americana). La politica economica che fu basata sul connubio merito e bisogni, un binomio che venne scoperto una decina di anni dopo dai Clinton, dai Blair e da Schroeder (definiti come grandi innovatori e scopritori della “nuova via”), e che fece la fortuna della sinistra mondiale negli anni ’90. La riduzione, in tandem con la Banca d’Italia di Carlo Azeglio Ciampi (cui una via invece, prima poi, andrebbe dedicata), dell’inflazione.  Il blocco del sistema della scala mobile che lastricò la strada verso il nuovo sistema contrattuale del protocollo Giugni-Ciampi del 1993, che rimise al centro del sistema contrattuale il Sindacato. Quel Sindacato che Craxi voleva al centro del sistema, con un ruolo forte e rinnovato, nella migliore tradizione socialista. La politica interna, con l’umanità espressa in occasione del rapimento Moro con la linea, isolata e minoritaria, di aprire trattative con le BR, per salvare l’esponente democristiano, abbandonato alla morte dai suoi per interesse e dai suoi nemici per opportunità politica. E la lotta alla mafia, condotta, tra gli altri dal socialista Martelli in tandem con Falcone che collaborò intensamente col ministero della giustizia e che per questo fu criticato aspramente di “collaborazione col nemico”.

E’ falso, per inciso, che nel periodo di Craxi aumentò la spesa pubblica (con il sottinteso “rubano per pagare le bustarelle”). I dati dimostrano che aumentò la spesa per interessi, e diminuì il fattore deflattivo del debito con la sconfitta dell’inflazione portata avanti, in quegli anni, da governo e banca d’Italia. Certo, la spesa primaria nemmeno diminuì, e su quello in effetti la responsabilità va attribuita anche a Craxi (oltre a tutti i partiti di allora tranne, forse, i liberali), che evidentemente non era in condizioni di poterlo fare. Lo fece tuttavia, con una operazione “monstre” il suo delfino, il socialista Giuliano Amato, nel 1992, salvando, con quell’atto il paese dalla bancarotta.

Un partito che sapeva e poteva dire “la sua”, e al quale il Presidente Pertini, diventato Senatore a vita dopo la sua esperienza Presidenziale, si iscrisse con orgoglio, invece di aderire, come fecero quasi tutti gli altri successori, al gruppo misto.

E’ davvero riduttivo liquidare l’esperienza politica di Craxi, col suo partitino del 12%, come un tradimento. Così fanno quelli che, come il Marchese Flores D’Arcais, sostenevano la linea dell’alleanza PCI-PSI ma hanno abbandonato Craxi nel momento della scelta di Governo con la DC sottoponendolo alle critiche più feroci e decisamente ingenerose e riduttive (si sa, i convertiti sono sempre i più cattivi… vedi recenti uscite di Capezzone sulla Bonino).

I suoi nemici di allora, da D’alema, a Fassino, passando per Bersani e per molti altri nel PCI, gli riconoscono il merito della innovazione politica, e la correttezza delle singole scelte di allora, ma pongono ovviamente l’accento sulle questioni penali, lasciando intendere la solita solfa: Craxi era un ladro, noi no.

E qui è il punto centrale. Il confronto con gli altri partiti dell’epoca. Sul piano delle responsabilità penali, dal finanziamento illecito alla corruzione, tutti i partiti erano sullo stesso piano (ammettendo, e non concedendo, che prendere soldi da un paese che ti punta i missili nucleari contro, sia lo stesso che prenderli dalla Montedison o dalla Fiat). Questo ripeto, non giustifica nessuno, ma mette i vari soggetti sullo stesso piano e, l’osservatore, in grado di giudicarli e discrminarli secondo criteri diversi.

Il criterio è e rimane l’innovazione politica. Nel documentario di Minoli su Craxi, trasmesso qualche sera fa su Raidue, c’era una bella intervista a Martelli in cui era espressa tutta l’intuizione e la lungimiranza di quella linea politica. Parole come merito, e attenzione ai bisogni, che la sinistra italiana di oggi, ancora fatica ad abbracciare. Quando Veltroni pronunciò al lingotto parole simili nel 2006, venne visto come un rivoluzionario innovatore, e iniettò una fortissima ventata di fiducia e di prospettiva politica nel campo della sinistra. Peccato che poi né lui né i suoi colleghi ex comunisti, sono riusciti ad andare oltre le parole, e quel discorso è rimasto incagliato senza tradursi in azione politica concreta e senza essere mantenuto fermo col passare dei mesi e delle difficoltà. Il PCI ha sempre negato il confronto con quel PSI, perchè era spaventato dalla messa in discussione profonda di tutti i propri mantra di derivazione sovietica. Il processo di ritrovamento di una via socialdemocratica, come nel resto d’europa, in Italia non è mai avvenuto proprio per questo. Perchè Craxi e la sua linea, vennero spazzati via dalle monetine, lanciate da puri militanti comunisti davanti all’Hotel Raphael. Prevalse la continuità, seppur avvolta da una cosmesi di modernità. In Italia, nonostante la caduta del muro, ha vinto il PCI. E lo ha fatto “a tavolino” senza nessun merito, né politico, né morale.

Negli anni ’80 (e anche dopo) la modernità, l’innovazione, la Sinistra, stava nel PSI.

Tutto sommato e considerato.

Questa penso sia la riflessione centrale. Che poco ha a che fare con titoli di statista, vie, santificazioni o celebrazioni.


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7 responses

23 01 2010
luca pirisi

Non entro in merito a temi già discussi in mailing list, riguardo all’esplosione dei conti pubblici, all’evoluzione della realtà di quel tempo. Quei temi sono già stati argomentati e nella posizione di simone mi ritrovavo abbastanza.
Seguo quindi la linea tracciata da questo sunto analitico, concentrandomi maggiormente sull’innovazione politica.
La nuova linea di Craxi aveva un potenziale straordinario. Voleva ridisegnare il ruolo dello Stato, trasformandolo da puro ente di sussistenza, come era fino a quel momento stato(con la scala mobile) e ridargli il ruolo di promotore attivo nello sviluppo di un paese. La fermezza delle sue posizioni era ammirevole, come la storia infatti gli riconosce. Come detto la resistenza alla prepotenza americana ne è l’emblema.
Però caro Luca, il partito socialista ha segnato la sua fine con le proprie mani. La sete di grandezza rende gli uomini schiavi del potere. L’avidità ha logorato le basi di quella macchina che avrebbe potuto davvero dare una nuova immagine al paese. La voglia di vincere l’egemonia della DC, seguendo la via maestra dell’indipendenza dal Pci (che anch’esso stava vivendo un periodo di revisione interna come gli scritti di Berlinguer testimoniano), ha portato il Psi a ricercare l’autonomia economica in maniera illegale. Certo un partito politico necessita del sostegno della società per trovare le risorse necessarie al suo fisiologico funzionamento, ma quell’accumulo di ricchezza è andato ben oltre i bisogni primari che il partito aveva.
Sono d’accordo nel ricoscere i meriti di quelle visione di socialismo che Craxi ha lanciato, ma le idee di un uomo sono giudicate anche sulla base delle azioni che le accompagnano. La virtù non trova vita nelle parole, ma nei gesti atti a sostenerla.
Purtroppo è stato, insieme a coloro che con lui hanno contribuito, un vero italiano, nell’accezione negativa del termine.

23 01 2010
Francesca

Alla fine, il brutto, è che del bello e buono non è rimasto nulla. Io non dimentico le responsabilità, ma riconosco le capacità, la visione, la lungimiranza. Soprattutto l’avere chiaro in testa un’idea di paese, una strada da percorrere, un obiettivo da raggiungere. Era l’Italia craxiana un paese moderno. Sì, con tutte le sue storture. Nel 1990 il governo preparò dei manifesti trilingue (inglese, francese, arabo) che informavano sulla normativa in vigore sul tema immigrazione. Sembra tutto così proggressivo e proggressista ora.

23 01 2010
Francesca

progressivo e progressista. maledetto iphone

23 01 2010
simone

E’ vero che sui valori della sinistra moderna, merito e bisogno, ha anticipato tutti di vent’anni, ma alla declamazione di questi valori corrispondeva poi un’azione conseguente?
Cito una riflessione di Sergio Romano apparsa sul Corriere qualche giorno fa:
“Esiste una evidente contraddizione tra le ambizioni riformatrici di Craxi e un sistema che antepone la clientela al merito, il pagamento di una tangente alla qualità dell’opera”.
Il merito è metodo anche in questo caso.

24 01 2010
iscatman

Beh, nella cultura, nelle opere e in molte altre cose, non mi sembra che gli anni 80 e la sua milano fosse poco attenta al merito e alla qualità.
Mi sembra che i ricordi siano un po’ offuscati, come se l’italia degli anno 80 fosse una specie di Russia dei plutocrati, basata sul malaffare e la corruzione, senza cultura, arte e con arretratezza tecnologica e di infrastrutture e povertà diffusa…
sarebbe bene guardare il passato senza occhiali distorcenti.

24 01 2010
marcello

l’unico commento a questa querelle : “è troppo presto ! ” giudizi piu’ definitivi solo tra qualche anno quando la STORIA sarà piu’ fredda e quindi studiata piu’ scientificamente

25 01 2010
C

Probabilmente è vero: è troppo presto per esprimere un giudizio storico condiviso su Bettino Craxi come leader politico e come uomo di Stato. Personalmente, però, ci tengo mettere in evidenza un punto che credo sfugga spesso a chi ricorda Craxi in questi giorni.
In un suo famoso saggio, Benedetto Croce evidenzia un legame di fatto tra la “rivoluzione cristiana” e il moderno pensiero filosofico; per lui l’etica del cristianesimo ha rappresentato qualcosa che in forme non religiose ha agito in quella che, in senso generico, si può chiamare la coscienza moderna. Per tale motivo, pur non essendo un fervente cattolico, Croce poteva affermare che “non possiamo non dirci cristiani”.
Nel campo (ben più ristretto, si intende) della sinistra italiana, Craxi ha rappresentato un fenomeno almeno altrettanto rivoluzionario. Per capire quest’affermazione, fermiamoci a riflettere un attimo sul principale partito della sinistra italiana (il PCI) nel 1976 (anno in cui Craxi arrivò alla guida del moribondo PSI). Il mito e l’aura di santità di Berlinguer spesso impediscono di ragionare obiettivamente sulla reale sostanza del PCI in Italia, ma a mio parere è opportuno ricordare alcune cose.
Nel 1976 il PCI sosteneva che in Italia non si potesse governare con il 51% dei voti; per tale motivo cercava costantemente la legittimazione da parte della DC, restando spesso e volentieri in retroguardia su alcune battaglie simbolo di laicità (articolo 7, aborto e divorzio in testa). Il solo concetto di “riformismo” nel PCI era un’offesa, senza contare l’atavico odio verso i traditori “socialdemocratici”. L’europeismo era un concetto ancora scarsamente radicato, e la tardiva constatazione che la “spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre” si fosse esaurita non fu accompagnata ad alcun nuovo disegno di politica internazionale, se non quello di “galleggiare” tra i due blocchi.
Infine la famosa “diversità comunista”, così intrisa di quel moralismo anti-consumismo e un po’ conservatore da rappresentare uno straordinario terreno di incontro ideologico con la sinistra cattolica. In un mondo che cambiava rapidamente, la “diversità” servì a mettere il PCI fuori dal cambiamento, a isolarlo in un mondo in cui era così facile sentirsi “diversi” da arrivare a credersi “migliori”.
Il PSI di Craxi fu nella società, tanto da interpretarne profondamente i lati positivi e (ahimè) anche quelli negativi. Fu un partito legato a doppio filo alle trasformazioni sociali che hanno investito le società occidentali dagli anni Ottanta in avanti e di cui ancora oggi viviamo una lunga coda.
Quel partito ebbe il coraggio di aspirare a creare una grande sinistra che guidasse il Paese senza complessi d’inferiorità verso cattolici o comunisti. Una sinistra innanzitutto “riformista”, facendo per la prima volta del riformismo il tratto distintivo dell’identità di un grande partito progressista. Una sinistra che parlava di “meriti” e “bisogni” dei cittadini e che dell’attenzione alle opportunità dei singoli (e non di corpi sociali vagamente definiti) faceva il nuovo centro del suo pensiero. Una sinistra occidentale ed europeista, che ebbe il merito di forzare la mano quando più servì a rimettere in moto il processo di integrazione europea. Una sinistra che per prima ebbe il coraggio di affrontare il tema della “grande riforma” istituzionale. Una sinistra, insomma, socialista.
Tutte queste battaglie, tutte queste parole d’ordine oggi le diamo per scontate e come acquisite da una coscienza progressista moderna. Nel 1976 e negli anni a seguire non erano così scontate, né condivise. In questo senso l’esperienza di Craxi fu nel nostro Paese un’esperienza rivoluzionaria che molto ha inciso sulla coscienza politica del campo progressista.
Nello stesso senso a mio parere, credo che oggi qualsiasi vero progressista laico e liberale debba riconoscere che “non possiamo non dirci craxiani”.

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